Inbound Marketing: cos’è e come ci si guadagna. Segreti del metodo Inbound


11/07/2017
Fabio Di Gaetano
Strategist e Department Manager
inbound marketing strategy

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Fabio Di Gaetano
Strategist e Department Manager
Dal 2003 mi occupo di marketing e strategie digitali al servizio del business e ho contribuito a fondare il team Argoserv.
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Fabio Di Gaetano
Sono autore del libro SEO Energy e fra gli autori del Manuale Ninja del Web Marketing: sono docente e formatore per Ninja Academy, la business school del “Il Sole 24 Ore” e lo IUL.

L’avvento di Internet ha prepotentemente trasformato il modo in cui leggiamo, comunichiamo, ascoltiamo la musica, guardiamo la TV, ci informiamo, ci spostiamo, facciamo acquisti, partecipiamo alla politica.

Le rivoluzioni epocali web based non potevano lasciare indenne neanche il marketing. Anche nel nostro settore infatti la forza della Rete ha sprigionato la sua onda d’urto livellando il campo di gioco e stravolgendo le regole tradizionali.

Come è cambiato l’ advertising dall’avvento di Internet

Prima di Internet per reclamizzare un brand o un prodotto la ricetta era semplice: si investiva in campagne televisive e/o radiofoniche, si acquistavano pagine di giornali o di riviste patinate, si partecipava a fiere di settore , si faceva telemarketing.

Già negli anni ’80 erano state ideate e teorizzate le azioni di guerrilla marketing ma la loro efficacia era limitata entro gli angusti confini consentiti dalla tecnologia e le campagne low cost si propagavano in maniera molto lenta e farraginosa. La regola era la seguente: per essere efficaci si doveva in genere disporre di grossi budget per acquistare visibilità.

La buona notizia è che oggi un buon cervello in grado di creare contenuti interessanti ed in grado di sfruttare la struttura ed i meccanismi della Rete, può risultare altrettanto e più efficace (si pensi al fenomeno “viral” e a tutta la letteratura originatasi per spiegarne le logiche) di campagne milionarie.

La cattiva notizia è che essendosi abbassate le barriere d’accesso, la concorrenza è molto accanita ed è sempre più difficile riuscire. Per poter emergere nel mare magnum del web si è sviluppato un settore relativamente nuovo (negli Usa se ne parla dal 2006) del marketing: l’ inbound marketing, che cerca di sfruttare a proprio vantaggio le caratteristiche del Web e le peculiarità del modo di agire della sua vastissima platea di utenti.

Ma cos’è l’ Inbound Marketing esattamente?

Dobbiamo rimandare alla definizione data da chi ha coniato il termine cioè la software house inglese HubSpot che, nel rapporto sullo stato dell’inbound 2017, spiega (più o meno testualmente):

L’ inbound marketing è costituito da una serie di tecniche e strategie di marketing il cui scopo è quello di attrarre importanti prospect e clienti nella direzione di un business e dei suoi prodotti.

L’ inbound marketing acquista sempre maggiore terreno (rispetto ai canali classici dell’advertising) in quanto asseconda le modalità secondo cui i clienti effettuano le proprie scelte di acquisto: i consumatori infatti usano internet per acquisire informazioni sui prodotti e servizi che rispondono meglio alle proprie necessità.

Gli inbound marketers offrono ai propri clienti informazioni e tool utili per attrarre verso il proprio sito nuovi prospect, e nello stesso tempo interagiscono e sviluppano relazioni con questi potenziali clienti. Riassumendo, i principi fondamentali su cui fa leva l’ inbound marketing sono i seguenti:

  • il permission marketing. Il cliente non va interrotto , ma va attratto. Dobbiamo far sì che il nostro potenziale cliente ci trovi nei luoghi virtuali in cui egli s’informa, si diverte, acquista ecc;
  • il contenuto sia esso testuale, fotografico, video ecc è lo strumento principe per la lead generation prima e per l’acquisizione di clienti e la creazione di un legame stabile con essi (content marketing);
  • il Sito Web è il fulcro di tutto il processo

Appare evidente che ci troviamo dinanzi ad un marketing 2.0 di tipo pull piuttosto che push, e che, rispetto a passaggi pubblicitari e campagne di telemarketing ad esempio, presenta i seguenti vantaggi:

1. costi contenuti (anche se creare contenuti di qualità in determinati ambiti può non essere poi così tanto economico);
2. clienti profilati ed interessati che chiedono informazioni sui prodotti e servizi offerti;
3. capacità di creare un legame stabile con i propri prospect e clienti (lifecycle marketing).

Il concetto è chiaro e semplice, il difficile è come riuscire nell’intento, perché per farsi trovare dove il cliente cerca, bisogna conoscere e padroneggiare le logiche della Rete.

La lenta trasformazione del SEO specialist in Inbound Marketer

Fin quando Internet, per gli utenti del web, equivaleva a Google, la SEO era l’ unica preoccupazione dell’ inbound marketer mentre il contenuto veniva inserito nel sito e/o nel blog. Se si pubblicava un testo, un video, una foto interessante, rispettando le regole della SEO e si aggrediva la long-tail in maniera intelligente, il gioco era fatto.

Certo poi occorreva un sito in grado di convertire, con le giuste call to action, si doveva far iscrivere il cliente alla propria newsletter per nutrire il rapporto, ma a questo punto il lavoro del marketer era sostanzialmente finito e la riuscita o meno del prodotto o del servizio dipendeva dalle sue qualità intrinseche. L’avvento dei social ha rimescolato le carte in tavola.

Se ci sono ancora persone che associano Internet a Google molti altri invece lo associano a Facebook (e domani forse lo assoceranno a Twitter, a Youtube o a Google Plus). Pensa ai tuoi genitori che probabilmente non utilizzerebbero mai Big G per un acquisto ma che vanno su Facebook per ritrovare amici o per farsene di nuovi.

Per tale ragione il bravo marketer non può trascurare i social: farlo significherebbe ridurre notevolmente l’efficacia del proprio marketing mix e lasciare alla concorrenza tutta quella platea di utenti che utilizzano i social come canale di accesso privilegiato, se non unico, al Web.

Come abbiamo specificato il nel corso SEO tenuto alla Ninja Academy, la strategia è fondamentale nel marketing e l’ inbound non fa eccezione. Anche in questo caso per poter elaborare una strategia di inbound marketing vincente bisogna conoscere e padroneggiare gli strumenti ed i canali di diffusione disponibili.

Gli strumenti imprescindibili del content marketing

I tool di cui non puoi fare a meno quando devi applicare una strategia dei contenuti sono i seguenti:

  • post
  • video
  • foto
  • infografiche
  • articoli
  • press release
  • slide

L’elenco può essere arricchito a tuo piacimento… Naturalmente tali strumenti possono (o meglio devono) essere mixati fra di loro e ti consiglio di utilizzare quelli più cari al tuo pubblico e più consoni alle tue competenze, ma soprattutto quelli più in linea con gli obiettivi che ti prefiggi di raggiungere.

Se cerchi ad esempio di far “girare” il contenuto sui social, una buona foto o un buon video sono molti più virali rispetto ad un post scritto e saranno più condivisi e commentati. Se invece vuoi dare informazioni o esprimere un’opinione, un post di testo sarà sempre il mezzo da prediligere, magari meglio se arricchito con una bella infografica che lo riassuma, ne renda più comprensibile il significato e lo renda più “viral” e accattivante.

Chiarito il significato degli strumenti di content marketing, restano da conoscere i mezzi tramite cui diffondere i contenuti: la SEO e i Social Media. Chi segue il nostro blog, sa bene che la SEO è il nostro cavallo di battaglia. Sicuramente, anche per l’attività di inbound marketing, la presenza massiccia ed efficace nei primi posti sui motori di ricerca costituisce lo strumento più efficace per attrarre nuovi contatti (lead generation).

Sul valore della SEO e sull’importanza della SEO nella costruzione della brand reputation non mi dilungo rimandandoti ai post pubblicati su Ninja Marketing. Mi preme solo ricordarti che, anche per le finalità dell’inbound marketing: a) la strategia di aggressione della long tail e b) l”Occupazione” delle SERP di cui abbiamo parlato al corso, porteranno sicuramente frutti copiosi in termini di visite e contatti sottraendo nel contempo spazio e visibilità ai tuoi competitor.

Per quel che riguarda il campo dei social è solo a titolo esemplificativo che faccio i nomi:

  1. Facebook
  2. Twitter
  3. Youtube
  4. Pinterest
  5. Flickr
  6. Google Plus

Gli unici suggerimenti: poiché è difficile essere presenti attivamente su tutti i social media, scegli quelli più in linea con i gusti del tuo target, e cura quelli in cui sei presente.

Il nuovo paradigma del marketing non interruttivo (ma permissivo)

A parte l’enfasi eccessiva sul verbo amare (che potrebbe anche tradursi con apprezzare se non fosse per il cuoricino che compare sull’immagine scelta), sottoscrivo in pieno il resto dell’assunto. Content is king (il contenuto la fa da padrone), ma aggiungerei, tenendo conto delle regole basilari della SEO e del social media marketing per far sì che il contenuto, oltre ad essere valido ed interessante, sia Google friendly (che non significa scrivere per i motori di ricerca ma scrivere tenendo di conto delle regole “imposte” dai motori di ricerca) e social friendly: cioè si trovi al posto giusto, al momento giusto.

Essere dove vengono a cercarti è prerequisito fondamentale per farti trovare dalla giusta audience: quando ti hanno “trovato” deve iniziare il tuo lavoro di nurturing e di segmentazione della clientela. Una volta arrivato al tuo sito, il visitatore è entrato nel funnel, nell’imbuto dal quale dovrebbe uscire come cliente fidelizzato se hai lavorato bene e se il prodotto/servizio è valido ed ha il giusto rapporto qualità/prezzo.

Infatti sempre citando la software house americana “allineando il contenuto che pubblichi con gli interessi dei tuoi clienti attrarrai naturalmente traffico interessato (letteralmente inboud) che potrai convertire e deliziare nel tempo”.

Cerchiamo ora di approfondire come funziona il lifelong cicle che è il plus della metodologia inbound rispetto ad un’attività SEO, di social media, di Content Marketing e mail marketing tradizionale condotta senza un piano e con modalità più o meno lasciate al caso (senza metriche e benchmark per la misurazione del roi o per la valutazione approssimativa dell’efficacia di ciò che si sta facendo).

Inbound Methodology

È sempre HubSpot a chiarire con un grafico esemplificativo il funzionamento del metodo, segmentando il processo con 4 verbi chiave ai quali corrispondono altrettante fasi:

  • Attrarre
  • Convertire
  • Chiudere (trasformare in clienti)
  • Deliziare

Attrarre (visitatori qualificati) con l’ Inbound Marketing

attrarre visitatori

Portare sul sito le giuste persone (denominate buyer), quelle cioè interessate al nostro business. Da bravo marketer 2.0 non mi interessano visite ma solo visite qualificate.
Per qualsiasi strategia di incremento dell’audience è scontato che attrarre costituisca il prius logico e cronologico del procedimento. Tanto più l’imbocco dell’imbuto sarà largo tante più opportunità avrò.

Per riuscire nell’intento, per poter portare visitatori al sito, c’è bisogno di essere visibili sui motori di ricerca: non solo bisogna essere ben posizionati, con una presenza massiccia nelle keywords long tail ma bisogna anche mostrare title e description interessanti e pertinenti, rich snippet, segnali social che invoglino il cliente a cliccare sulla nostra pagina.

Lo stesso scopo deve essere raggiunto tramite Facebook , Linkedin, Google plus (chi più ne ha più ne metta) e il blog, con la pubblicazione di contenuti utili ed interessanti rispettando le best practice proprie di tali mezzi. Una volta attratti sul sito con le modalità descritte, conditio sine qua non per un buon lavoro di inbound è che le nostre pagine siano strutturate in modo da invogliare a leggere il contenuto pubblicato. Occorre cioè una buona struttura delle pagine del sito (una buon design) in grado di assicurare una buona user experience utile nel contempo alle nostre finalità.

Convertire (i visitatori in lead)

convertire i visitatori

È questa la fase di fondamentale importanza su cui poggia tutta l’impalcatura dell’inbound. Infatti sempre citando Hubspot “una volta che i visitatori sono arrivati al tuo sito, il passaggio successivo è quello di convertire i visitatori in lead raccogliendo le loro informazioni personali. Quantomeno c’è bisogno che ti lascino l’indirizzo email. Le informazioni personali sono la merce più preziosa del web marketer”.

Nel corso sulla SEO tenuto alla Ninja Academy, abbiamo più volte ribadito come per essere dei SEO completi si debba studiare una strategia per trasformare degli estranei in clienti. Lo stesso assunto vale per l’inbound marketing (di cui la SEO costituisce uno dei pilastri portanti).

La chiave per riuscire in tale delicato compito, secondo la software house, è la profilazione del cliente che lascia i suoi dati in cambio del contenuto da noi fornito. L’idea vincente che sta alla base dell’ inbound è trattare in maniera differente, tramite una gestione intelligente del contenuto, la propria audience, a seconda dello stadio del funnel in cui si trova.

Poiché la gestione razionale e automatizzata (cioè un software) è proprio il prodotto che Hubspot vende, naturalmente l’enfasi è un po’ accentuata. Ma il concetto è di per sé valido indipendentemente dall’utilizzo di un gestionale. Infatti nel mercato reale, fra i nostri potenziali clienti, c’è chi cerca informazioni sul prodotto o servizio, chi è pronto ad acquistare, chi compara i prezzi, chi si vuole informare sull’assistenza, chi chiede consigli su come utilizzare al meglio il prodotto dopo l’acquisto ecc.

Dare ad ognuno la giusta informazione tailor made è la strategia che può risultare vincente. Quali sono gli strumenti per far sì che il cliente sia invogliato a lasciare i suoi dati personali?

a) Le call to action il cui scopo è sollecitare l’azione del visitatore e indirizzarlo verso le landing page.

b) Le landing page, ovvero le pagine in cui il visitatore riceve ciò che gli viene promesso in cambio dei suoi dati personali (articoli, video, e-book , webinar).

c) I form, cioè i moduli da compilare con i dati personali. Se il cliente lascia le sue generalità, la fase della conversione ha avuto successo perché il visitatore è diventato lead o prospect, cioè cliente potenziale.

d) Un database efficiente per gestire tutte le informazioni a disposizione.

Chiudere (trasformare in clienti)

trasformare in clienti

È questa la fase in cui si monetizza, quella vitale per qualsiasi business. Se con tutti gli sforzi non riusciamo a portare a casa il contratto significa che non siamo bravi marketer, o che non abbiamo una buona forza vendita, o che ci sono dei problemi nel prodotto o servizio che offriamo.

Anche in questo segmento del procedimento la gestione differenziata del cliente porta i suoi frutti. Per supportare le vendite il bravo marketer deve mandare le giuste mail ai prospect, deve interfacciarsi con i venditori dando informazioni utili sul cliente, in modo di fornire tutto il supporto necessario per portare a casa dei risultati.

Deliziare (da cliente a promotore spontaneo)

deliziare i clienti

Continuare a interagire col cliente anche dopo che ha acquistato il nostro prodotto/servizio. È una fase che le aziende trascurano ma che invece se ben strutturata è importantissima specie per il diffondersi del passaparola, del buzz intorno al brand.

L’ideale è che i nostri clienti si trasformino in promotori della nostra azienda. Cosa c’è di meglio di un cliente soddisfatto? Tripadvisor, Ebay, e numerosi altri colossi imperniano i propri business sui giudizi dei clienti: immagina cosa può voler dire avere un evangelist spontaneo! La relazione col cliente va coltivata quindi nel tempo.

Inoltre così facendo si possono sempre suggerire vendite di beni o servizi ulteriori, e si possono utilizzare mail e social per fornire un ottimo servizio di customer service real time.
Vale la pena quindi continuare l’attività dell’inbound anche nel post vendita.

La segmentazione del funnel e il monitoring dei risultati

Più che la gestione tecnica e meccanizzata (peraltro utile) della metodologia descritta, il dato più interessante e replicabile è la logica seguita. La segmentazione del procedimento, tra l’altro, consente la possibilità di misurare i risultati conseguiti (siano esse visite, prospect, contratti) in ogni singola fase del funnel.

Accade spesso che in ambito social media e SEO le agenzie trascurino di fare il rendiconto della propria attività o si limitino a dare dati inutili per il cliente, della serie “abbiamo raggiunto tale posizione per questa keyword, abbiamo x link in entrata, abbiamo 10.000 fan” (magari comprati). Come si traduce questo in termini di visite, di tempo di permanenza sul sito, di leads, di acquisizione di dati sensibili per il nostro business e di informazioni utili per la conclusione dei contratti e delle vendite?

Fortunatamente presto saranno queste le domande a cui i professionisti del settore dovranno giustamente rispondere, poiché il cliente è sempre più attento al ritorno di ogni centesimo speso. Al momento, come possiamo evincere dalla lettura attenta del rapporto Inbound 2017, la differenza qualitativa più importante che emerge fra inbound marketer Europei ed Americani la troviamo proprio nella fase di misurazione dei risultati.

I colleghi d’oltreoceano sono molto più maturi da questo punto di vista. Monitorare costantemente le performance è fondamentale anche per il lavoro di fine tuning necessario in qualsiasi strategia di marketing. Pur non utilizzando software specifici ricordo come gli strumenti di Google Analytics, gratuiti ed accessibili a tutti i web master, possono fornire dei suggerimenti preziosissimi.

Per esperienza personale posso dire che l’ Inbound è vincente

Alla fine del post, consentimi alcune brevi riflessioni di carattere generale. Il web è inondato da prese di posizione contrastanti riguardo l’inbound marketing: troviamo sostenitori incalliti ed acerrimi detrattori. Per esperienza personale posso asserire che, anche se fatta senza software specifici, la metodologia dell’Inbound è vincente.

Grazie ad una buona strategia SEO e social media di diffusione dei contenuti, accompagnate da un’oculata gestione delle newsletter, piccole realtà sono riuscite a diventare dei brand di riferimento per le proprie nicchie e sono riuscite ad aumentare contatti, fatturati e redditività. Sicuramente per le aziende che non hanno grosse risorse l’inbound è uno strumento utilissimo. Grazie all’Inbound Marketing siamo riusciti a diventare leader in una nicchia particolarmente competitiva dell’automotive e a raggiungere il mercato oltreoceano.

Nereto sbarca america

ed abbiamo aiutato piccole e medie imprese e multinazionali ad INCREMENTARE CONTATTI , OPPORTUNITÀ E FATTURATI. Sicuramente per le aziende che non hanno grosse risorse l’inbound è uno strumento utilissimo di lead generation.

Per le realtà che hanno a disposizione budget più importanti, le strategie di inbound hanno sicuramente il loro valore e la loro efficacia, ma devono essere uno degli strumenti del marketing mix. Per costruire o rafforzare la propria brand awareness e diventare leader a livello nazionale ed internazionale, anche portali verticali di ricerca viaggi, immobili, shopping online, giustamente utilizzano spot televisivi e radiofonici, pagine di giornali e riviste.

Infatti fra gli obiettivi fondamentali di qualsiasi marketer ci deve essere quello di fare branding. Paradossalmente, come ho detto e scritto, il lavoro del SEO finisce quando non c’è più bisogno della SEO perché i clienti cercano (e trovano) i nostri prodotti e servizi e non quelli dei nostri competitor (se devo comprare un Ipad non cercherò su Google “tablet” ma “Ipad”).

In una strategia di marketing mix oculata inoltre, a costi ragionevoli, non escluderei neanche le fiere di settore perché sono luoghi reali in cui si fanno gli incontri giusti e c’è la possibilità di fare networking, in cui si trova lo stato dell’arte del proprio ambito ed in cui si raccoglie la giusta audience (è lo stesso concetto utilizzato per l’inbound marketing ma nel mondo fisico). Al prossimo post. 😉

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