Tutto quello che devi sapere per fare business con l’inbound marketing


05/10/2016
Fabio Di Gaetano
Strategist e Department Manager
inbound marketing strategy

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Fabio Di Gaetano
Strategist e Department Manager
Dal 2003 mi occupo di marketing e strategie digitali al servizio del business e ho contribuito a fondare il team Argoserv.
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Fabio Di Gaetano
Sono autore del libro SEO Energy e fra gli autori del Manuale Ninja del Web Marketing: sono docente e formatore per Ninja Academy, la business school del “Il Sole 24 Ore” e lo IUL.

Cari amici di Argoserv, in occasione del corso SEO SEM Strategy che stiamo tenendo su Ninjacademy, ripubblichiamo integralmente il post che è già comparso sul blog Ninja Academy e che cerca di riassumere i concetti chiave e il procedimento logico dell’Inbound Marketing. Se siete interessati ad approfondire l’argomento alla fine del post troverete il link per l’iscrizione. Buona lettura e a presto!

Cos’è l’inbound marketing?

L’inbound marketing è la branca del marketing digitale che studia come intercettare potenziali clienti per attrarli nell’orbita del brand cercando di ampliarne l’audience e “convertire” le visite in lead (c.d. lead generation), prospect, contratti e clienti fidelizzati (a tal punto da farne dei brand evangelist spontanei).

Il bravo inbound marketer è colui che utilizza SEO, SEM, Content Marketing, Social Media Marketing e Mail Marketing in maniera strategica, selezionando e monitorando le giuste metriche (kpi), predisponendo i contenuti opportuni per il lavoro di lead nurturing, scegliendo gli adeguati “trigger” di conversione e svolgendo un’attività di analisi e test continui (c.d. fine tuning) affinché il ritorno della propria attività digitale sia massimo.

Cos’è il buyer’s journey e perché bisogna studiarlo?

Per poter ottimizzare il ritorno dell’attività di inbound marketing è necessario studiare il percorso digitale (c.d. buyer’s Journey) dei nostri potenziali clienti per capire quali siano i punti di contatto (touchpoint) con la nostra azienda online.

Questo per due ordini di ragioni:

1) per poter attrarre nella nostra orbita il maggior numero di utenti;

2) per poter studiare per ogni touchpoint il giusto contenuto da veicolare e i giusti strumenti (cta, landing page, forme ecc) da utilizzare, a seconda delle nostre finalità.

La buyer persona: cos’è e come si delinea

La buyer persona è una rappresentazione fittizia del nostro cliente potenziale.

Se vogliamo ottimizzare l’esperienza dell’utente nei punti di contatto digitali che intercettino il suo buyer’s journey, dobbiamo cercare di conoscere l’età, il sesso, le condizioni lavorative e sociali, le aspirazioni, le curiosità , le aspettative, gli interessi, gli hobby , le modalità di fruizione del web ed i device utilizzati dal nostro target potenziale.

Per poter delineare il profilo della nostra “persona” dobbiamo sfruttare, sia gli indizi che possiamo raccogliere online, sia le informazioni che provengono dal mondo offline (se ne abbiamo i mezzi possiamo utilizzare sondaggi , panel, ma spesso e a costo zero, possiamo reperire una miniera di informazioni disponibili già in azienda).

Naturalmente , nessun brand si rivolge ad un solo target: per questo motivo dobbiamo tracciare l’identikit di più personas in grado di rappresentare al meglio le tipologie di potenziali utenti interessati a quello che abbiamo da offrire .

La buyer persona va definita in modo concreto: essa deve avere un nome, una foto, una professione (e chi più ne sa più ne metta), una situazione familiare e delle necessità concrete.

Per ogni persona dovremmo disporre di una scheda dettagliata in grado di farci conoscere a fondo l’utente al quale effettivamente ci rivolgiamo e di consentirci di intercettarne i bisogni (l’empatia è la caratteristica poi importante per l’inbound marketer): per ogni profilo dovremmo avere un calendario editoriale di contenuti da proporre.

Dall’Outbound all’inbound Marketing: dal prodotto alla relazione, dal megafono (o martello) alla calamita

Comprendere le motivazioni che fanno delle tecniche inbound i più potenti strumenti nelle mani del marketer è di fondamentale importanza: abbracciare l’Inbound marketing non equivale ad abbracciare una moda passeggera ma significa adottare un modus agendi in grado di sfruttare creatività e scienza (tramite l’analisi dei dati, lo studi dei KPI) per fare dell’attività digitale un partner imprescindibile per il presente ed il futuro dell’azienda ( e noi di Ninja ci vantiamo di aver introdotto per primi, già nel 2013, un corso SEO che allargasse le vedute all’inbound).

Per poter scegliere l’inbound marketing e capirne l’inestimabile valore è necessario comprendere il cambiamento avvenuto nel processo decisionale del nostro potenziale cliente rispetto al passato (anche molto recente).

Un tempo, quando il web doveva ancora fare la sua comparsa ed il modello di produzione Fordista Taylorista era la regola, quando il consumatore era una pedina nelle mani delle grandi aziende, quando i mass media (radio, televisione, giornali) erano appannaggio dei grandi gruppi che dominavano la comunicazione bombardando il pubblico con messaggi sparati col megafono, le regole del gioco erano totalmente differenti rispetto ad oggi.

L’azienda creava il prodotto, il marketer ne studiava il posizionamento e la comunicazione per il lancio sul mercato, la pubblicità martellava il consumatore inerme che, sugli scaffali, trovava i prodotti reclamizzati e che non aveva che l’opzione di scegliere o no il prodotto.

(Pensa agli esempi limite che Mirko Pallera ha mostrato nel recente Ted di Alessandria: negli anni 30 in America si faceva la pubblicità delle sigarette come un prodotto salutare, e in una campagna di un’azienda produttrice di birra si invitavano gli automobilisti alla guida a bere tranquillamente la bevanda prima di mettersi in viaggio).

Oggi con la comparsa del web, la digitalizzazione dei contenuti, la polverizzazione e la personalizzazione dell’informazione, con la possibilità data ai prosumer o consummattori di far sentire la propria voce tramite recensioni online, commenti, condivisioni sui social, fortunatamente lo scenario è cambiato e le imprese che non entrano in sintonia con il proprio pubblico e non riescono a dialogare con esso, rischiano l’irrilevanza.

Il megafono non funziona più (meglio funziona molto meno rispetto a prima): la calamita è il nuovo mezzo per assicurare un presente e un futuro al proprio business.

Dallo FMOT allo ZMOT: come cambia l’esperienza d’acquisto

Il racconto di come funzionasse il processo d’acquisto prima di Internet è stato schematizzato perfettamente da Procter & Gamble nel 1995 (è stata l’azienda a coniare l’acronimo FMOT ovvero first moment of truth).

Nel processo d’acquisto esistevano solo 3 fasi:

  1. la fase dello stimolo (il momento in cui il potenziale acquirente veniva a conoscenza del prodotto , o fase di awarenss) che poteva essere innescato da una pubblicità sui media, da un cartellone pubblicitario, dal passaparola ( anche se l’efficacia del c.d word of mouth era limitatissimo), dalla partecipazione ad una fiera o dal telemarketing;
  2. la fase “centrale” della scelta (o del primo momento della verità) che veniva effettuata davanti alla vetrina del negozio o nello scaffale del supermercato, ovvero in uno spazio fisico ben definito che mettesse in bella mostra il prodotto per invogliare l’acquisto;
  3. la fase finale, del secondo momento della verità , che coincideva con l’esperienza del prodotto. Se si era soddisfatti dell’acquisto iniziava il processo di fidelizzazione e magari si poteva passare al consiglio ad amici e parenti, altrimenti, l’unica opzione concessa, era quella di non riacquistare il bene o il servizio in futuro e di sconsigliarne l’acquisto alla propria cerchia ristretta.

Eventuali apprezzamenti sul prodotto , eventuali critiche nei confronti dello stesso o le promesse non mantenute da un brand, avevano poche possibilità di uscire dall’alveo delle conoscenze dirette del consumatore: un’azienda con un budget per la promozione consistente e dei buoni canali di distribuzione aveva quasi la certezza di riuscire sul mercato (ricordo perfettamente un paio di aziende che grazie a campagne milionarie sono diventate leader del proprio settore di riferimento da un giorno all’altro).

Tale meccanismo si inceppa e muta profondamente con la comparsa di Internet

Jim Lecinski di Google, nel suo ebook dedicato allo Zmot (al momento zero della verità o zero moment of truth), propone una nuova sigla ed aggiunge un passaggio fondamentale allo schema elaborato da Procter & Gamble, evidenziando la svolta epocale avvenuta nelle dinamiche di scelta del consumatore.

L’esperienza d’acquisto si arricchisce della fase del c.d. zero moment: il momento in cui il potenziale cliente costruisce le sue convinzioni e quello in cui il processo d’acquisto inizia.

È questo il nuovo “campo di battaglia” in cui si decidono i destini del prodotto e dell’azienda.

Quello che devi sapere per vincere nello ZMOT

  1. Il luogo privilegiato in cui si conquista il cliente nel suo ZMOT è il web: il procedimento di scelta inizia solitamente con una ricerca su un search engine (da cui risulta il ruolo tuttora fondamentale di SEO e SEM) anche se negli ultimi anni i social network hanno acquisito maggiore importanza (e ne acquisiranno sempre più in futuro).
  2. La decisione viene presa sempre più spesso in tempo reale, in ogni ora del giorno e diventa sempre più centrale il ruolo dello smartphone (i tassi di crescita del “mobile” costituiscono il dato più eclatante delle ricerche citate).
  3. Il consumatore ha il controllo dello ZMOT e decide modi e tempi della scelta. Per poter comprendere meglio il modus agendi del consumatore in tale fase cruciale Google ha recentemente introdotto un nuovo concetto: quello dei micromomenti (o micro moments) ovvero quegli istanti nell’arco della giornata in cui si manifesta una necessità, un bisogno o una curiosità (con cui può anche iniziare o terminare il processo d’acquisto di un bene o servizio) che vengono soddisfatti tramite una consultazione online.

La conquista di tali micro momenti è diventata, secondo Google, il nuovo terreno di sfida dei brand.

L’imperativo categorico del marketing (non solo del real time marketing) è infatti, come abbiamo detto in precedenza, quello di presidiare tutti gli snodi digitali in cui si articola il processo decisionale dell’utente: se la soddisfazione del bisogno nei microments avviene prevalentemente tramite la consultazione dello smartphone, il device sempre più presente nella vita dei millennials e della generazione c(ovvero quella della generazione dei sempre connessi), ci dobbiamo preparare ad essere sempre più smartphone friendly (e ragionare sempre più in ottica mobile first).

La conversazione non è unidirezionale: nello ZMOT si trovano a concorrere sullo stesso piano amici, estranei, siti, esperti, pubblicitari ognuno con i suoi assunti (approfondirò a breve le implicazioni di tale concetto).

Come cambia il lavoro del marketer

Poiché il processo d’acquisto è molto più complesso, il lavoro del marketer risulta più arduo rispetto al passato:

1. Il “martello” e le attività di tipo” push “ possono non essere decisive (e lo saranno sempre meno in futuro) nell’influenzare le scelte, infatti, quando da una comunicazione unidirezionale studiata a tavolino, si passa ad una conversazione, le pubblicità e i messaggi promozionali possono perdere molta della loro efficacia . Chi acquista cerca , commenta e condivide in maniera autonoma e spesso imprevedibile;

(N.B. La pubblicità , giornali, radio e televisione rivestono ancora una fase molto importante soprattutto nella fase dell’awareness o stimulus).

2. l’interazione avviene in modalità multichannel: lo smartphone, il tablet , il desktop, la tv concorrono tutti nello ZMOT, quindi bisogna tener presenti le caratteristiche e le modalità di comunicazione tipiche di ogni strumento per ottenere il massimo dei risultati. L’esempio calzante che viene fatto per spiegare tale logica è il seguente. Se si vuole conquistare l’audience dei tablet, si deve considerare che la consultazione di tali strumenti avviene dopo il lavoro (l’orario di utilizzo del tablet viene definito t- time) quindi anche i messaggi dei marketer dovranno essere adatti al tipo di device di ricerca ed al periodo in cui le consultazioni vengono eseguite;

3. come dice lo stesso Lecinski, il processo di acquisto deve essere considerato come una specie di viaggio aereo con fermata e ritorno in più hub, piuttosto che un processo lineare e la possibilità di incanalare il cliente nel funnel immaginato dal marketing diviene quasi un’utopia;

4. nessun settore merceologico può ritenersi al riparo dallo ZMOT quale procedimento di acquisizione di informazioni e di scelta.

Per semplificare prendiamo ad esempio l’acquisto di uno snack per bambini

Prima dell’arrivo del web, la pubblicità ci ingolosiva (ricordo che i programmi delle prime TV commerciali che oltre ai giocattoli ci bombardavano con spot di merendine di cui ricordo ancora tutti i Jingle) e davanti allo scaffale le mamme (da noi opportunamente sollecitate) decidevano se acquistare il prodotto (first moment of truth) magari confrontandolo con altri snack, poi al momento della prova (second moment of truth) davamo il nostro giudizio e ,se soddisfatti, iniziavamo l’attività di pressing per favorire il futuro riacquisto dello snack .

Oggi se vedi uno spot che attrae la tua attenzione, t’informi online sul produttore, cerchi di conoscere gli ingredienti della merendina, la provenienza ed il metodo di produzione (il caso dell’olio di palma docet), studi l’apporto calorico del prodotto stesso.

Non solo, prima di scegliere magari compari il prodotto con la concorrenza, guardi un video , leggi un post o una recensione in cui un amico o un influencer discute del bene (probabilmente fai tutte queste cose in metropolitana con lo smartphone).

Poi se la ricerca ti soddisfa è possibile che vada in un sito di confronto prezzi o in un sito di coupon per trovare occasioni o ti rechi davanti ad uno scaffale.

Ma il viaggio potrebbe complicarsi ulteriormente prima dell’acquisto. Anche quando il cliente arriva nel carrello dell’e-shop ed ha inserito il prodotto nella lista della spesa si assiste ad un tasso altissimo di abbandono (pari o superiore al 70%): ed allora vai col remarketing e le attività per cercare di ottenere il risultato.

Ho scelto l’esempio di un bene, un tempo considerato di scarsa rilevanza, non a caso.

L’attività di raccolta e scambio di informazioni ha acquisito sempre maggior importanza nel modus agendi del consumatore. Nel passato un tale studio era confinato ai grandi acquisti (di beni durevoli) come la casa, gli elettrodomestici , oggi l’utente si cimenta nel processo di scoperta critica anche per gli acquisti più piccoli.

Consegue che le dinamiche dello ZMOT sono applicabili a tutti i settori merceologici: non sono confinate al B2B, o B2C, agli store o ai beni di consumo, ma si applicano alla politica, all’educazione e chi più ne ha più ne metta.

Il processo Inbound: la chiave per il successo nello ZMOT

Le caratteristiche sopra evidenziate dello ZMOT aiutano a spiegare perché l’inbound marketing sia il procedimento vincente conquistare il cliente e farne un avangelist “spontaneo”:

proprio perché sempre più spesso le scelte vengono fatte online ed in tempo reale, diviene fondamentale sviluppare un procedimento che ci consenta di intercettare il nostro pubblico ,e di portarlo nell’alveo del nostro brand sfruttando tutte le tecniche non interruttive a disposizione del digital marketer.

Ribadisco: l’idea di base che sottende il procedimento dell’Inbound Marketing è proprio quella di presidiare con il giusto contenuto e con i giusti strumenti (trigger) tutti i gangli della rete senza infastidire ed interrompere la nostra tribù .

Infatti la finalità di un buon piano di inbound marketing è quello di sfruttare al meglio SEO, SEM, Content Marketing, SMM, e mail marketing e performance marketing.

Per capire come fare ci avvaliamo dello schema ideato da Hubspot, la software house che ha inventato il nome e la metodologia Inbound.

ll processo può essere riassunto con quattro verbi chiave in grado di farci capire come strutturare logicamente e cronologicamente il processo:

  • Attrarre
  • Convertire
  • Chiudere (trasformare in clienti)
  • Deliziare

Il primo verbo è attrarre

Requisito indispensabile per avere successo è incanalare nel nostro sito la giusta audience (o per dirla alla Seth Godin, la giusta tribù).

L’inbound marketer non cerca genericamente traffico ma visite qualificate: tanto più numerose saranno le visite interessate, tante più chance avremo di portare risultati utili al brand.

Per riuscire nell’intento di ampliare l’audience c’è bisogno anzitutto di una buona attività SEO: non solo bisogna essere visibili ed avere un buon ranking per rispondere alle domande di chi ci sta cercando, ma bisogna essere sulle SERP (le pagine dei risultati dei motori di ricerca) con i giusti title, con description interessanti e pertinenti che invoglino al clic, mostrando segnali social e rating che siano garanzia di qualità.

L’attività di pay per clic completa l’attività SEO e ci garantisce maggiori opportunità.

L’obiettivo della prima fase del processo, quello di allargare l’imbuto, va perseguito naturalmente anche con l’attività di social media marketing e con il blog, pubblicando contenuti utili ed interessanti per le nostre personas (non esiste Inbound senza Content Marketing).

Fondamentale, per il successo dell’attività inbound, è che i nostri contenuti siano device friendly in grado cioè di essere fruibili da qualsiasi strumento venga effettuata la navigazione. Il design, il layout, i tempi di caricamento delle pagine, diventano elementi sempre più centrali nella conquista dei nostri clienti (specie da quando il mobile è divenuto il canale preferito delle navigazioni).

Giusto contenuto, buona attività SEO e SEM, social media marketing sono i pilastri dell’inbound marketing sin dalla fase iniziale del percorso.

Convertire (i visitatori in lead)

HubSpot spiega benissimo tale step: “una volta che i visitatori sono arrivati sul tuo sito, il passaggio successivo è quello di convertire i visitatori in lead raccogliendo le loro informazioni personali. Quantomeno c’è bisogno che ti lascino l’indirizzo email. Le informazioni personali sono la merce più preziosa del web marketer”.

Nei corsi alla Ninja Academy ribadiamo sempre il seguente concetto: per essere dei SEO “utili” si deve studiare una strategia in grado di trasformare degli estranei in clienti altrimenti il nostro lavoro non porta frutti al business. La stessa riflessione vale per l’inbound marketing.

Una delle chiavi per riuscire a farlo è ottenere informazioni dall’utente durante il suo viaggio digitale grazie ad uno scambio alla pari: noi forniamo contenuto utile ed interessante, l’utente in cambio ci lascia volontariamente i suoi dati.

Il presupposto che sta alla base del procedimento inbound è trattare in maniera differente il nostro pubblico a seconda dello stadio del funnel in cui esso si trova. Le informazioni richieste ci servono per capire in quale stadio si trovi il nostro visitatore.

Fra i nostri potenziali clienti, c’è chi cerca informazioni sul prodotto o servizio, chi è pronto ad acquistare, chi compara i prezzi, chi si vuole informare sull’assistenza, chi chiede consigli su come utilizzare al meglio il prodotto dopo l’acquisto ecc. Dare ad ognuno la giusta informazione tailor made è la strategia che può risultare vincente (Solitamente conoscere con esattezza il cliente è importante per l’attività di lead nurturing che viene effettuata tramite il mail marketing).

Per raggiungere l’obiettivo il marketing digitale ci fornisce una serie di strumenti:

a) le call to action, il cui scopo è sollecitare l’azione del visitatore e indirizzarlo verso le landing page;

b) le landing page, ovvero le pagine di atterraggio in cui il visitatore incontra il nostro brand e riceve ciò che gli viene promesso. Il bravo Inbound marketer testa continuamente ( con il processo di c.d. AB testing ) l’efficacia delle sue landing per ottimizzarne il rendimento,

c) i form, cioè i moduli da compilare con i dati personali. Se il cliente lascia le sue generalità, la nostra attività di conversione della visita ha avuto successo perché il visitatore è diventato lead o prospect, cioè cliente potenziale e ha già interagito volontariamente col nostro brand.

Chiudere (trasformare in clienti)

È questa la fase fondamentale per ogni business. Se nonostante i nostri sforzi non riusciamo a portare a casa il contratto significa che l’attività è infruttuosa e dobbiamo interrogarci sui motivi del fallimento: o non siamo bravi marketer, o non abbiamo una buona forza vendita, o il prodotto o servizio che offriamo (tornerò fra poco sull’argomento) presenta delle lacune.

Anche in tale fase la personalizzazione del messaggio è efficace. Per supportare le vendite il bravo marketer deve mandare le giuste mail ai prospect e deve interfacciarsi con i venditori dando informazioni utili sul cliente, in modo di fornire tutto il supporto necessario per portare a casa dei risultati.

Deliziare (da cliente a promotore spontaneo):

L’imperativo dell’Inbound Marketer è continuare l’interazione con la propria audience anche dopo l’acquisto.

Mantenere una relazione col cliente e deliziarlo è importante non solo perché, così facendo, si può immaginare una strategia di upselling o si possono utilizzare mail marketing e social media marketing per fornire un ottimo servizio di customer service in tempo reale.

Il vero vantaggio che possiamo ottenere stupendo in positivo la nostra clientela, è far sì che essa si trasformi in cassa di risonanza in grado di influenzare i prossimi potenziali acquirenti.

L’optimum per il brand è che chi ha sperimentato i suoi prodotti o servizi si trasformi in promotore spontaneo dell’ azienda, perchè da quando il consumatore è diventato consumattore o prosumer, egli ha il potere di decidere le sorti di un prodotto, di un servizio o di un marchio, attraverso i propri commenti, le proprie condivisioni social, i propri ratings e le proprie reviews.

Più passa il tempo e maggiormente le decisioni prese nello ZMOT sono destinate ad essere influenzate dalle recensioni di altri clienti: se i commenti sono stati rilasciati da amici o persone di cui mi fido, il peso nella scelta sarà tanto più importante.

(Se vuoi approfondire ti invito a leggere Absolute Value e i libri di Brian Solis che per primo ha coniato il nuovo acronimo UMOT per descrivere il concetto ).

Tripadvisor, Ebay, e centinaia di altri servizi hanno fatto fortuna usando business model fondati sulla riprova e la valutazione sociale. Tale trend impatta sia le attività online sia offline: conosco schiere di ristoratori (specie quelli il cui target è costituito dai turisti occasionali) che pensavano di non “essere su Internet” e che a causa di recensioni ostili hanno perso fatturato, clienti ed opportunità.

La segmentazione del funnel e il monitoring dei risultati

Alla fine di questo viaggio, ti lascio con alcuni spunti di riflessione. Quando si parla di Inbound Marketing, ci si sofferma spesso sui software di automatizzazione del processo (i cui costi non sono alla portata di tutte le aziende).

In realtà la metodologia descritta è replicabile anche senza software specifici: i plus dell’inbound di cui fare tesoro è la logica seguita. La segmentazione del procedimento, tra l’altro, consente la possibilità di misurare i risultati conseguiti (siano esse visite, prospect, contratti) in ogni singola fase del funnel.

Fortunatamente anche in Italia stiamo prendendo coscienza del fatto che non sono le c.d vanity metrics ad essere importanti (la posizione in Serp per una keyword, il numero di fan, il numero di link entranti e chi più ne ha più ne metta): ciò che conta davvero sono i risultati concreti che il marketer porta al business, il ROI della sua attività.

I problemi di cui dobbiamo occuparci e quello che dobbiamo monitorare costantemente è altro:

  • Quante visite portiamo?
  • Quali sono i tempi di permanenza sul sito?
  • Come si comporta l’utente sul sito?
  • Riusciamo ad acquisire dati sensibili ed informazioni utili per la conclusione dei contratti e delle vendite?
  • Quanto costa un lead o un contratto?
  • Cosa fare per migliorare?

Tentare di rispondere a tali quesiti è la vera sfida del bravo inbound marketer nel 2017.

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