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Un articolo comparso recentemente sul NYT di Tom Friedman (uno dei migliori interpreti del nostro tempo ed il cui “The World is Flat” rimane una bussola indispensabile per comprendere il presente e progettare il futuro) che affronta la tematica della leadership politica, fornisce spunti interessanti per tornare sull’argomento.
Le riflessioni dell’editorialista americano, pur se rivolte ad un settore specifico, possono essere estese anche al mondo del business.
Le decisioni del management aziendale nell’era del Web 2.0
Come deve decidere e scegliere il top manager, il politico o colui che comunque ha responsabilità di direzione, in un mondo in cui i riflettori gli vengono sempre puntati addosso ed in cui ognuno può dire la sua ed ha a disposizione una cassa di risonanza planetaria?
È giusto che per non subire le critiche o per accaparrarsi le simpatie dei miliardi di paparazzi e reporter in cui si sono trasformati gli utenti di Youtube, Facebook e Twitter cerchi il consenso a tutti i costi?
Come deve muoversi il corporate management stretto fra l’esigenza di ascoltare la voce ed i suggerimenti della base e la responsabilità di indicare la direzione da seguire?
In un’ epoca in cui tutto è “real time oriented”, chi ricopre ruoli di potere deve pedissequamente rimettersi alla wisdom of crowds e diventare un mero esecutore delle volontà del momento? Nel caso in cui si scelga il modello di leadership partecipata il top management deve limitarsi ad entrare solamente in sintonia con la propria organizzazione e seguirne gli umori?
Il “popularismo” e la perdita di progettualità e lungimiranza
La risposte a questi interrogativi non sono semplici. Il rischio collegato all’invasione pacifica delle nuove tecnologie e degli strumenti di comunicazione di massa può essere rappresentato proprio dalla scomparsa di progettualità e di lungimiranza.
Se si rincorrono i cinguettii e i like, si accentua il pericolo di seguire il consenso facile perdendo di vista gli obiettivi di lungo termine. Il male del nostro tempo potrebbe essere rappresentato proprio dal popularismo (una nuova coniugazione del populismo in chiave tecnologica): una tendenza già presente nell’ambito corporate e politico (si pensi all’utilizzo maniacale dei sondaggi) esasperata dall’affermarsi dei social media.
Paradossalmente in un’era in cui i leader averebbero a disposizione mezzi potentissimi per guidare le proprie nazioni, aziende, associazioni (o per dirla alla Seth Godin, le proprie tribù) ed in cui c’è più bisogno di guide, queste ultime paiono latitare (rifletti sulle centinaia di articoli sull’argomento apparsi sulla stampa internazionale alla morte del leader Steve Jobs).
Il problema della Leadership in una realtà in continuo mutamento
Bisogna anche riconoscere che essere capitribù oggi non è semplice: la realtà è ogni giorno più complessa e stratificata, il mondo è sempre più veloce e polarizzato, i nostri sono “liquid times” (come li definisce Bauman) ed il cambiamento continuo rimane l’unica certezza.
I mercati ciecamente premiano i risultati trimestrali contribuendo a creare rischi di natura sistemica, gli stati sono governati da politici miopi che pur di non perdere la poltrona mettono a repentaglio il futuro del pianeta e dei propri figli…
Il problema di fondo è che per essere leader bisogna avere il coraggio di assumersi la responsabilità delle proprie scelte, si devono accettare le critiche, l’impopolarità e la possibilità di dover lasciare la sedia.
I trascinatori veri, per essere tali, devono essere disposti a perdere qualcosa e devono saper comunicare con le proprie tribù ispirandole e guidandole verso mete di più ampio respiro. In questa direzione deve muoversi la leadership condivisa del futuro: i capi tribù devono ascoltare suggerimenti, idee, spunti forniti dalla base ma poi devono scegliere in funzione del bene e della prosperità della propria organizzazione.
Alcuni consigli utili per una nuova leadership aziendale
Facile a dirsi e difficile a farsi!
Non esiste una formula magica ma alcuni consigli possono essere d’aiuto. La vera leadership, per ispirare e guidare, deve:
- dire la verità
- essere d’esempio
- condividere obiettivi e risultati
Il primo suggerimento ci viene fornito dallo stesso Friedman: essere sinceri è l’unico modo per rendersi credibili agli occhi della propria organizzazione. Meglio far ingoiare una medicina aspra subito che edulcorare la realtà rinviando i problemi.
La verità da sola non è comunque sufficiente, se non accompagnata dalle azioni concrete del management e dalla condivisione degli obiettivi e dei risultati. L’esempio dei leader è fondamentale: purtroppo anche da questo punto di vista il quadro attuale è deprimente.
Sempre più spesso sentiamo di politici coinvolti in scandali nella gestione della cosa pubblica e di amministratori delegati che si assicurano bonus multimilionari lasciando le proprie aziende sull’orlo del fallimento. Questi non sono uomini da seguire ma sciamani, impostori ed approfittatori da allontanare.
Partecipare al sacrificio per ritrovare benessere e prosperità
Per poter far ingoiare pillole amare (aumento di imposte, riduzioni di incentivi o salari, licenziamenti) bisogna partecipare al sacrificio e condividere obiettivi lungimiranti con le proprie tribù, siano esse aziende, nazioni, organizzazioni politiche o religiose: queste risponderanno e seguiranno la via tracciata da leader in grado di prospettare nuovi scenari.
La leadership richiede spesso scelte impopolari e dolorose nel breve periodo ma che assicurano prosperità e benessere nel lungo termine: il capotribù deve mostrare la via ed essere il primo a seguirla (per aspera ad astra dicevano i nostri antenati romani che sono riusciti a costruire un impero millenario).
Se il vertice predica la frugalità e la quaresima non può poi praticare il Carnevale.
Occorrono coraggio,visione, progettualità e coerenza per affrontare le sfide della modernità.
Un esempio concreto di scelta vincente può essere fornito dal patto sociale del leader con la propria organizzazione aziendale: se al collaboratore verranno chiesti solo sacrifici, senza dare la speranza di un futuro migliore, tali privazioni verranno recepite come soprusi.
Se invece assieme ai sacrifici verranno presentati progetti convincenti, condivisi, comunicati in maniera chiara e se il management affronterà insieme all’organizzazione la buona e la cattiva sorte, allora la base sarà più propensa ad incamminarsi verso la giusta direzione.
Una best practice: il successo del modello partecipativo tedesco
Mi viene in mente come best practice da emulare il modello partecipativo tedesco: negli anni scorsi in cui la crisi ha colpito anche le aziende d’oltralpe, manager, dipendenti, sindacati e partiti politici hanno acconsentito a riduzioni di salario e a tagli di orari, in cambio della difesa di posti di lavoro ed in attesa di periodi più proficui.
Questo sforzo comune è stato premiato quando i bilanci sono migliorati: basti pensare ai bonus e agli incentivi riconosciuti da prestigiose case automobilistiche a dipendenti ed al management.
Il modello tedesco (anche se la Germania non gode di molta popolarità in questi mesi) insegna: i leader hanno indicato una via credibile, l’organizzazione tutta, nei tempi di magra, ha accettato di sacrificarsi preparando un futuro migliore ed ora beneficia dei risultati conseguiti dall’azienda che ha contribuito a far crescere e di cui è fiera di far parte.
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